“Viviamo in un sistema che vuole convincersi a consumare qualsiasi cosa ad ogni costo, quasi diffondendo modelli di vita e di comportamento che hanno passaggi obbligati attraverso modo, tecnologia, pubblicità. Noi, piccoli esseri bombardati, siamo condizionati e incapaci di prendere strade illuminate, decisioni scomode e non tanto frequentate. A volte siamo quasi convinti che la felicità sia possedere cose nuove e raggiungere scale più alte, anche a prezzo di sacrifici enormi verso il futuro. Chi non è in grado di correre incontro al nuovo ad ogni costo si ritrova sempre più spesso, guardandosi intorno, in compagnia di strani, atipici, aritmici, anacronistici individui. Tutto un movimento di opinione tende ad escluderti in base a fattori diversi, concomitanti e a volte contrastanti tra loro: come sei vestito, come hai i capelli, con che auto ti muovi, che orologio porti al polso. Il ricatto del marketing, quando ti afferra, non ti lascia più. Tu non sei più tu, ma sei tutte le cose che esprimi in superficie. Di andare in profondità, ammesso che qualcosa lo meriti, non se ne ha voglia né tempo. In mezzo a questi milioni di contatti stereotipati, nevrotici, ipocriti, c’è uno scontro di superficie, un festival di esteriorità, con il solo interesse di vendere ciò che non c’è, oppure ciò che c’è, ma in modo subdolo”.
La poetica di Mingardi si alimenta di passato, presente e futuro, di dubbi, di consapevolezze, di certezze e di speranze, di “personale” e di “sociale”; una molteplicità di sensazioni e emozioni, la cui recettività lo porta ad operare nell’arte e nel trovare, a volte negli oggetti, a volte nei colori, un punto di incontro sentimentale-estetico.
“Io non butto via niente. Ho un piede nel passato e uno nel futuro. E non mi sento mai a mio agio nella corsa. So che di tutto il tempo passato mi rimangono reperti solidi e astratti che, almeno, me lo fanno sembrare meno disperatamente inutile. Il mondo è una scarica di ricordi. Ferri vecchi, arrugginiti e non più funzionali alla corsa. Gente obsoleta, comparse mute. Così in una sorta di tenerezza, raccolgo pezzi di legno che, se troppo puliti, lascio alla pioggia e al vento. Li invecchio. Anche il ferro. Come se gli dessi una storia da raccontare. Un valore intrinseco. Quasi per dare un senso ai biglietti e alle cartoline di vent’anni fa. Non è nostalgia, sono le radici. È; l’illusione di pensare che il tempo non passa solo per dare alla concessionaria una vita dentro, ma p erché le rughe e la ruggine sono parole dette, giorni vissuti, patrimonio indelebile. Non butto via niente. Ogni oggetto, ogni lettera, ogni sguardo sono cellule di un corpo che vive proiettato in un futuro che affascina ma spaventa. Vorrei partire per Marte con quaranta bauli, tutti i libri, i dischi, la mia famiglia, i cani e i gatti, i volti di tutti quelli che ho visto e di quelli che vedrò. La fase tempo-spazio diventa un gioco senza regole. Quasi una stanza priva di qualità. Non c’è logica in quello che sta succedendo, i sogni si confondono alla vita come un cartone animato. La logica è come le mutande. Serve a coprire, con pudore la vergogna della non “ratione”. Il disordinato equilibrio della caotica catastrofe dei nostri sentimenti è la più straordinaria bufera che abbia squassato l’atmosfera terrestre. La natura e il suo orologio biologico nulla può fare contro l’imponderabile contorcimento dell’animo umano. Noi siamo il nostro passato e sbricioliamo il nostro presente sperando che il futuro sia meglio. Quest’ansia che divora, brucia ogni pallida certezza e non ha ancora spento la voglia di cercare e di trovare l’uscita dal labirinto”.