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What

legnetti1What, cosa; cosa resta del viaggio, “intorno all’arte-intorno a sé-intorno al mondo”, compiuto e in divenire? Resta tutto, certo, delle presenze, memorie ed impressioni – inalienabili – fatte opere, ma soprattutto “restano i resti” .
Cose, frammenti, scorie della realtà accantonate, piccoli oggetti rimossi dall’ uso e dalla coscienza; scie e pulviscoli del mondo, relitti – suggerendo anche un riferimento non improprio al dada e alla poetica compositiva dell’object trouvé. Non è un gioco di parole perché la vena di Mingardi, in questi lavori, oltre qualche esito deliberatamente ludico ed ironico, è invece austera. C’ è compassione e simpatia per quei frammenti di materia ‘intrisi di grande umanità’, come diceva Apollinaire degli elementi di un collage, che vengono ancora sospesi al filo arcano di una esistenza diversa, per farli sopravvivere, detriti poveri e marginali, relitti rifiutati ai quali l’arte sa riconoscere una estrema, inopinata dignità.

legnetti3Pezzi di legno, frammenti di vecchi ferri arrugginiti, brandelli di utensili consunti costituiscono la sua dotazione materiale; e, con quei resti di materia, Andrea ricompone le spoglie di un mondo delle cose marginali e derelitte, che non va dimenticato; come fosse infine, nella sua povertà nuda, il segno più concreto e irriducibile di una condizione estrema dell’ esistenza e di una voglia disperata di resistere; nonostante tutto.

legnetti4Quanta poesia regga questa catarsi delle povere cose, che ascendono al loro paradiso come in un Miracolo a Milano dei relitti, l’ha splendidamente compreso un artista che appartiene al mondo di Andrea, un figlio della musica che, come Andrea, ama anche superarne i confini, Tom Waits, il quale tocca lo stesso tema con queste parole, quasi una dedica, toccante e sottile, nell’in-terpretazione involontaria ma affatto pertinente del lavoro di Mingardi, considerando sia il senso di quest’ ultima serie di opere, che l’intero jet-lag artistico messo in mostra:

Bici rotte, Vecchie catene spezzate e manubri scassati sotto la pioggia
Qualcuno dovrebbe aprire un orfanotrofio per tutte quelle cose che nessuno vuole più
È settembre e mi sembra luglio
È tempo di salutarsi l’ estate se n’ è andata rimarrà il nostro amore come vecchie bici rotte sotto la pioggia
Bici rotte non dite ai miei amici di tutte quelle carte da gioco pinzate ai raggi sdraiate come scheletri là fuori sul prato
Le ruote si cambiano quando sono rotte le stagioni cambiano e ogni volta me ne dimentico
Le cose che mi hai dato rimarranno rotte per sempre ma non le butterò mai via.


Passa tra le palme e le sabbie vellutate di uno splendido arcipelago del Pacifico la linea del “cambio di data” , nelle isole Kiribati, con l’ atollo di Marakei e il lembo di sabbia disabitata di Nonuti; 33 isole in tutto a nord di Tonga, in Micronesia, dove sorgerà l’alba del 2000, e verrà celebrato il padre di tutti i Capodanni.
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Il fanatismo consumistico dell’ Occidente ha bruciato già ogni possibile prenotazione; in questa frenetica corsa al Duemila, e nella volata lanciata con largo ed immotivato anticipo, tutti vogliono prendere posizione per tagliare, primi, la mitica soglia del terzo millennio, come se valesse qualcosa al di là della futilità del rito.

Un giorno mi auguro di raggiungere l’arcipelago delle Kiribati; i paradisi esotici dei mari lontani sono un sogno che coltivo sempre, ma certo senza questa frenesia, anche cinica e ingenerosa, nei confronti di un tempo che, nel bene e nel male, è stato profondamente nostro.
Meglio procedere verso ovest finché si potrà, per restare ancora in questo amato, scassato, vecchio secolo, cercando insieme ad Andrea qualche altra cosa da portarsi, prima di abbandonarlo; ancora per un po’, che ne vale la pena: è un bell’anno, il 1999.

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